Domenica, 02 Agosto 2009
«Vivere di rendita sarebbe letale»
La piccola impresa regge rinnovandosi: ma vince
l'eccellenza non l'azzardo.
LA TOSCANA DELLE IDEE VINCENTI Intervista a Nicola
Bellini, direttore dell'Istituto regionale di programmazione.
FIRENZE. Il futuro produttivo della Toscana? «La nostra
regione può essere un grande laboratorio dell'economia
della conoscenza e in particolare della green economy», risponde
Nicola Bellini, direttore dell'Irpet, l'Istituto per
la programmazione economica della Toscana.
Bellini è anche ordinario di economia e gestione delle imprese alla Scuola
superiore Sant'Anna di Pisa. In passato ha lavorato nella società di
ricerche Nomisma di Bologna e alla Regione Emilia-Romagna.
La crisi economica evidenzia l'emergere di
nuove imprese? Se sì, in quali settori?
«Questa è una valutazione ancora difficile da compiere. I dati sulla
natalità e mortalità delle imprese probabilmente ancora non riflettono
l'entità della crisi, da cui ci dobbiamo aspettare una significativa
selezione e quindi un ridimensionamento dell'apparato produttivo. Quello
che soprattutto non possiamo ancora dire è se si tratta di una selezione
che premia i migliori e dalla quale usciremo più snelli ma con una competitività almeno
intatta, oppure se si tratta di una “selezione avversa”, in cui proprio
i migliori sono colpiti, in quanto più esposti alla congiuntura internazionale
o finanziariamente indeboliti da scelte di investimento coraggiose realizzate
negli ultimi anni. E quest'ultimo è ovviamente uno scenario molto
preoccupante».
Una volta la Toscana era famosa per il piccolo è bello.
Si torna al primato del piccolo? Con quali evidenti differenziazioni?
«Personalmente la contrapposizione basata sulle dimensioni di impresa non
mi ha mai convinto molto, dice assai poco sulla natura vera e sul posizionamento
strategico (e quindi sulle prospettive) della singola impresa. Nella galassia
delle piccole imprese ci sono realtà eccellenti come pure realtà fragilissime.
Certo non mi pare oggi né realistico né saggio ritornare alle celebrazioni
del “piccolo”».
Perché?
«La crisi semmai accentua le debolezze di imprese non sufficientemente
attrezzate sul piano dell'innovazione e dell'internazionalizzazione.
Piuttosto aprirei una riflessione sul ruolo che le medie e soprattutto le grandi
imprese possono avere nello sviluppo di questa Regione e su come le politiche
possano più efficacemente dialogare con loro».
Quali sono i settori dell'economia toscana
out e quelli in, in grado di dare prospettive?
«Le criticità appaiono senza dubbio più forti per settori “tradizionali” come
il tessile-abbigliamento, la filiera del cuoio, l'oreficeria e il lapideo,
ma anche qui inviterei a distinguere dentro i settori tra impresa e impresa.
Si può stare nell'hi-tech ed essere comprimari, vittime predestinate
del prossimo rivolgimento, e stare nei settori tradizionali ed essere invece
protagonisti»..
Cosa conta?
«Nell'economia contemporanea ciò che conta, prima ancora del
settore, è la quantità e la qualità della conoscenza che
un'impresa riesce ad incorporare ed a vendere insieme al suo prodotto,
sia esso un paio di scarpe, una bottiglia di vino o un componente elettronico.
Questo vale non solo nella manifattura, ma anche - ad esempio - per il turismo:
c'è quello della rendita e quello che adotta comportamenti imprenditoriali
moderni e innovativi».
Come vede in definitiva la Toscana produttiva del
futuro?
«La Toscana ha tutte le potenzialità per essere un grande laboratorio
dell'economia della conoscenza ed in particolare di quella green economy,
che sappiamo essere una prospettiva promettente, capace di integrare le varie
anime dell'economia regionale (industria, servizi, turismo, agricoltura),
di cui parliamo molto facendo ancora troppo poco».
Forse perché mancano gli imprenditori.
«Gli ingredienti ci sono, manca la ricetta. C'è bisogno di
uno sforzo corale di pubblico e privato. In mancanza di questo ci adageremo nell'economia
della rendita, cominciando un percorso di possibile decrescita, economicamente
e socialmente insostenibile».
Venendo alle imprese piccole e di nicchia, frutto
spesso di fantasia e coraggio imprenditoriale, che prospettive
hanno? Sono figlie della disperazione o hanno sbocchi concreti
in un quadro stagnante?
«Ovviamente dipende dalla nicchia. A me pare tuttavia che di fortini inespugnabili,
in cui trovare riparo, ce ne siano sempre di meno e quindi le nicchie durano
soltanto se vengono costantemente e rapidamente ridefinite e reinventate. Oggi
una strategia di nicchia è per definizione molto dinamica. Richiede l'eccellenza
dei migliori, non l'azzardo dei disperati».
M.L.
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